È una delle mostre organizzate anche quest'anno da Metz Percorsi d'Arte, una realtà culturale novarese, dedita allo studio e all'approfondimento della pittura italiana del XIX secolo, dell'Ottocento, con alcune incursioni agli inizi del Novecento, fino all'avvio delle grandi avanguardie. Si è deciso, insieme a Metz, di dedicare l'esposizione a un momento particolarmente interessante della storia della pittura, non solo italiana ma internazionale, focalizzandola su artisti come Boldini e De Nittis, che a Parigi, città scelta come luogo di concentrazione, di interesse e di finalità divulgative e scientifiche, hanno rappresentato il palcoscenico di una mostra volta a esplorare l'attività degli italiani nella capitale francese. Quest'anno, invece, non si è più scelto un contesto unicamente urbano, ma la tematica si è ampliata, concentrandosi sui paesaggi.Parto subito, ovviamente, con l'analisi del titolo, perché i titoli che Metz, insieme a Elisabetta Chiudini, curatrice della mostra anche quest'anno, ha scelto sono titoli che mi piace definire programmatici. Tra titolo e sottotitolo troviamo, con scelte e parole appropriate, tutto il percorso di visita vera e propria, le finalità e gli obiettivi che Metz e la curatrice vogliono raggiungere. "Paesaggi, realtà, impressione e simbolo: da Migliara a Pellizza da Volpedo." Pertanto, questa mostra conduce letteralmente il visitatore alla scoperta della pittura di paesaggio in Italia, dagli anni '20 dell'Ottocento fino al primo decennio del Novecento. È un arco cronologico particolarmente ampio, durante il quale, soprattutto per quanto riguarda la pittura di paesaggio, si sono verificate numerose innovazioni e trasformazioni fondamentali."Realtà, impressione, simbolo." Questi sono i tre termini chiave che strutturano l'intera esposizione, che si articola in nove sezioni all'interno del Castello di Novara, che immagino conosciate ormai tutti, sede di mostre di grande livello da anni. Ma perché realtà, impressione, simbolo? Perché parlare di pittura di paesaggio nel XIX secolo significa riferirsi a un contesto d'azione in cui gli artisti hanno avuto l'opportunità di elaborare nuovi linguaggi figurativi ed espressivi, ma anche di intraprendere vere e proprie indagini in contesti apparentemente diversi dal semplice dato oggettivo. Arrivando, tra fine Ottocento e inizio Novecento, alla grande esplosione del simbolismo.La realtà, il dato oggettivo che il paesaggio rappresenta, è qualcosa che ha sempre mosso i pittori fin dall'inizio dell'Ottocento. L'impressione è il desiderio di trasmettere attraverso nuovi linguaggi figurativi la vera "impressione" che la luce e il colore suscitano negli occhi dell'artista, che poi la traduce sulla tela. Il simbolo, infine, diventa centrale perché, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, gli artisti, e in particolare i grandi rappresentanti del divisionismo, utilizzano il paesaggio per dar vita a opere di grande impatto simbolico, trattando temi che vanno al di là della mera realtà. Questo è ciò che la mostra intende esplorare. Un vero e proprio viaggio che consente al visitatore di scoprire l'evoluzione e la trasformazione della pittura di paesaggio.La prima sezione è dedicata alla pittura di paese, dalla veduta al paesaggio. È una sezione introduttiva che serve a orientare il visitatore nell'ambito della pittura di paesaggio in Italia nella prima metà dell'Ottocento. Tra i nomi illustri, Migliara è sicuramente il più rappresentativo. In questa prima sezione, si esplorerà la trasformazione da un vedutismo tardosettecentesco a una vera e propria esplosione del paesaggio naturale. La seconda sezione esplora le influenze del naturalismo romantico francese e tedesco sui pittori paesaggisti italiani, con un focus sul Piemonte e la Lombardia. La terza sezione riguarda gli incontri, le amicizie e i sodalizi artistici che hanno contribuito alla nascita della pittura di paesaggio in queste regioni.La quarta sezione è dedicata alla pittura impressionista, con particolare attenzione a Filippo Carcano. La quinta, la sesta e la settima sezione approfondiscono aspetti più specifici, come il naturalismo lombardo, il naturalismo urbano e il paesaggio divisionista. La nona e ultima sezione, ospitata nella sala della Rocchetta, esplorerà il paesaggio divisionista, con un focus su Pellizza da Volpedo.La mostra, quindi, non solo esamina le trasformazioni stilistiche della pittura di paesaggio, ma anche il contesto sociale e culturale che ha influenzato gli artisti. Ho selezionato alcune delle opere più significative che rappresentano perfettamente questa evoluzione. La prima sezione ci introduce nel paesaggio romantico, con opere di Giovanni Migliara, Giuseppe Canella e Massimo D'Azeglio, che esplorano la pittura di paese e le sue varianti. La seconda sezione approfondisce l'influenza di artisti come Alexandre Calame e Julius Lange, che hanno dato un importante contributo alla pittura di paesaggio in Italia.La terza sezione esplora come l'influenza di Calame ha portato alla nascita di una pittura di paesaggio realista, con opere di artisti come Antonio Fontanesi. La quarta sezione, dedicata a Filippo Carcano, esplora la sua evoluzione verso una pittura en plein air, in particolare nei paesaggi lombardi e piemontesi. La quinta sezione celebra il naturalismo lombardo, con opere di Carcano che mostrano il suo approccio innovativo alla pittura di paesaggio.Oltre, in questa quinta sezione, ovviamente, a Carcano, troveremo anche altri artisti, da Filippini a Bazzaro, ad Achille Formis e ad altri grandi interpreti di questo nuovo naturalismo, di questa pittura che, in qualche modo, raffigura la natura, il paesaggio, ma anche la vita e le figure umane che si potevano trovare in quei contesti, i costumi e le abitudini degli abitanti, ma anche, e soprattutto, dei villeggianti. Non va dimenticato, come abbiamo già detto prima, che Filippo Carcano è particolarmente legato alle terre dei laghi, tra Piemonte e Lombardia. Lavora in un secolo, e in particolar modo in una porzione di secolo, la seconda metà dell'Ottocento, durante la quale nasce effettivamente la villeggiatura nel senso più moderno, come possiamo noi oggi intenderlo, quindi non più legata esclusivamente alle grandi famiglie aristocratiche, ma legata anche a una medio-piccola borghesia che finalmente si concede anche la villeggiatura. Nel nostro territorio, i laghi sono i luoghi di più naturale approdo, diciamo così, villeggiantesco e turistico. Mi viene sempre in mente, quando si parla di queste tematiche, un bellissimo romanzo di Cagna, Alpinisti Ciabattoni, in cui, per l'appunto, il signor Gaudenzio con la moglie sono due semplicissimi e modestissimi artigiani, commercianti del Pavese, che decidono per la prima volta nella loro vita di fare una vacanza e di staccare dalla loro bottega per la prima volta una settimana. Sarà tragico, insomma, se non l'avete mai letto leggetelo perché è molto divertente, ma si sposa perfettamente a questo universo culturale che noi oggi diamo un po' per scontato, ma che all'epoca era di grande impatto e modernità. Ciò significa che avere anche vedute di paesaggio con il lago come protagonista inizia a essere una vera e propria moda, e dunque una tipologia di soggetti che Carcano e altri artisti lombardi interpreteranno con grande efficacia. Sono soggetti che il pubblico desidera anche collezionare e avere nelle proprie abitazioni. La sezione successiva, la sesta sezione, come dicevamo, è dedicata al carattere, diciamo così, più propriamente urbano. La settima e l'ottava sezione ci portano in contesti geografici ben precisi.
La sesta sezione è dedicata a Milano e al naturalismo nel paesaggio urbano tra i Navigli e il Carrobbio. È ovvio che qui il contesto si apre verso artisti nuovi, fino ad ora non incontrati lungo il percorso di visita, dunque fino alla quinta sezione. Qui compaiono, e compaiono poi a breve nelle sale del castello, Giovanni Segantini, che si ritroverà poi anche più avanti lungo il percorso di visita, Emilio Gola, ma soprattutto Mose Bianchi. Una delle opere di Mose Bianchi che troverete in questa sesta sezione è La Prima Neve, siamo alla fine dell'Ottocento, circa nel 1890, una veduta straordinariamente suggestiva di una Milano coperta dal manto nevoso, con tutti i fastidi e le varie problematiche che, come in una fotografia, Mose Bianchi registra con la felicità del pennello che gli appartiene. La composizione è tagliata a livello fotografico, perché è ormai da lungo tempo evidente che l'arte figurativa e la pittura traggono spunto anche dalle composizioni fotografiche. Qui l'elemento cromatico e luminoso caratterizza l'opera, in un contrasto, un gioco bilanciatissimo di bianchi, bianchi freddi, grigi e marroni. Dinanzi a un'opera come questa, è particolarmente interessante osservare la capacità, ma anche la rapidità e felicità di pennellata, con cui Mose Bianchi sia riuscito a riprodurre il manto nevoso, soffice, bianco, ancora incorrotto, che si è accumulato lungo i bordi della strada, a contrasto netto e quasi tattile con la fanghiglia che si è creata a seguito del passaggio continuo di carri e di una carrozza con la livrea verde, tipica non solo del Novecento, ma soprattutto della Milano della fine dell'Ottocento. Bellissimo anche il cielo, con le sue screziature che vanno dal violetto al rosa al grigio, in contrasto con il bianco vivissimo dei comignoli e dei tetti, che sono ricoperti e ingombri di neve. Tutto attorno, nel pieno spirito lombardo milanese, la frenesia e il dettaglio, lo scandaglio estremamente dinamico, quasi fotografico, della città che si muove nonostante le difficoltà di una nevicata che ormai è cessata, ma che, come si può ammirare in un dipinto come questo, ha lasciato la sua traccia.
In questa sesta sezione è presente anche Giovanni Segantini. Va necessariamente menzionato, perché, lo sapete, è uno dei nomi di maggiore richiamo per il pubblico particolarmente interessato alla pittura italiana contemporanea nel XIX secolo. È uno dei padri, insieme a Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati, della pittura divisionista. Infatti, tornerà con grande efficacia nell'ultima e nona sezione, quella dedicata al paesaggio divisionista. Qui ho voluto inserire una delle sue opere che saranno esposte a Novara, Il Naviglio a Ponte San Marco. Siamo intorno al 1880, quindi un Segantini ancora pre-divisionista. Ci raffigura un passaggio da una riva all'altra del Naviglio, nella zona di San Marco, con queste meravigliose dame con l'ombrellino parasole. Un cielo straordinario, bianchissimo, azzurrissimo, con nuvole bianche e grigie e riflessi d'acqua che amplificano la tavolozza cromatica, regalando una godibilità immersiva e percettiva della luce, della rifrazione della luce e della cromia del soggetto, minuzioso, ma sempre caratterizzato da pennellate rapide anche nei più minuti dettagli.Segantini, con grande efficacia, rappresenta Milano attraverso il naturalismo lombardo e anticipa la settima sezione, che si trova nella cosiddetta cella, un ambiente tra i più suggestivi e raccolti del percorso di visita del castello di Novara, dedicata all'attività di Leonardo Bazzaro e all'Alpino. Il villino che questo pittore ebbe all'Alpino, costruito lungo la strada che da Gignese conduceva al Mottarone, era un luogo particolarmente amato dalla moglie dell'artista.
Ciò che lui ci illustra è un vero e proprio atto d'amore nei riguardi dell'intimità familiare e della pittura en plein air. Con questa pittura immediata e en plein air, Bazzaro registra scene di intimità familiare, come nel dipinto I miei fiori, realizzato all'inizio del 1900.
Le ultime due sezioni corrispondono alla manica orientale del castello di Novara. L'ottava sezione è dedicata alla pittura che immortala il fascino della montagna. Il titolo della sezione è emblematico: Dalle Prealpi all'alta montagna. Qui ritornano artisti che i visitatori hanno già incontrato nelle sezioni precedenti. Dalleani e, in particolar modo, Filippo Carcano, con Dall'alto, una meravigliosa veduta che è un susseguirsi di verdure, fiori e fili d'erba che accompagnano il nostro sguardo fino alle pecorelle che fissano simbolicamente l'ampio orizzonte che declina verso la pianura, in una resa cromatica grigia e atmosferica.Carcano, con Dall'alto e con il Ghiacciaio di Cambrena, è ben rappresentato in questa sezione, che anticipa quella dedicata al paesaggio divisionista. Indubbiamente, Metz ha molto a che fare con il divisionismo. Una delle mostre da loro organizzate, curata dalla Kinsake, era appunto dedicata al divisionismo, che è una delle stagioni meno conosciute dal grande pubblico. La pittura dell'Ottocento italiano, infatti, passa spesso in secondo piano rispetto a ciò che si fa in Francia nello stesso periodo. Tuttavia, mostre come questa rivelano la bravura degli artisti italiani e la loro capacità di raccontare e reinterpretare il loro presente attraverso nuovi linguaggi figurativi.I pittori divisionisti sono tra i più abili nel creare un linguaggio figurativo che prima non esisteva. Il divisionismo nasce in parallelo tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, con la prima Triennale di Milano nel 1891, dove le opere di Segantini, come Le madri, e quella di Gaetano Previati, trovarono la loro prima grande esposizione pubblica. Questo avvio segnò una vera e propria operazione emotiva ed espressiva che coinvolse molti artisti. Il divisionismo, infatti, non stendeva più il colore sulla tela attraverso campiture e velature, ma attraverso segni puri, che venivano giustapposti in modo tale che l'occhio, a una certa distanza, li percepiva come una sintesi luminosa e cromatica.In questa sezione dedicata al paesaggio divisionista e al passaggio dalla rappresentazione del vero al simbolo, troviamo artisti come Angelo Morbelli, un grande interprete dell'ortodossia divisionista, che qui vediamo con Alba domenicale, un'opera che ritrae borghesi che si recano alla messa domenicale. In mostra si potrà ammirare l'intricata successione di segni che Morbelli stende sulla tela, utilizzando colori in purezza. Inoltre, Carlo Fornara, altro grande interprete del divisionismo, rappresenta paesaggi alpini attraverso pennellate variegate, come in L'Aquilone, dove la pittura divisionista lascia spazio alla simbolicità della scena.Grande spazio è dato anche a Pellizza da Volpedo, con Sul finile, un'opera suggestiva che fonde la resa veristica del paesaggio con una dimensione simbolica evocativa.